"Non sto dicendo che tu sia grassa, però sai, sono abituato a frequentare modelle"
Era sopra di me, ma mentre lo diceva guardava il pavimento.
Ero sdraiata sul mio divano di pelle nera, in relax. Ho alzato la testa, l'ho guardato dritto in quei suoi occhi verdi, e ho decretato gelidamente: "se pensi che io sia grassa, è un problema tuo e non mio. Puoi accomodarti fuori da casa mia".
Silenzio.
I suoi occhi si sono sollevati e hanno incontrato i miei.
"Ora".
Ho visto la sua schiena accartocciarsi. Prima robusto ed imponente, ora il suo corpo prendeva la forma di quello di un bambino castigato.
Mi ha voltato le spalle senza dire una parola, e ha girato l'angolo. Finalmente fuori dalla mia vista, ha camminato lungo il corridoio, finché ho sentito chiudersi la porta di ingresso.
Click. E poi, silenzio.
Nella stanza, il mio albero di Natale luccicava. Mentre le lucine bianche rimbalzavano contro la mia collezione di decorazioni in cristallo, mi sono tirata su dal divano e alzata in piedi.
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Ho sentito il mio corpo alto un metro e ottanta ritrovare l'altezza che sembrava aver perso mentre lo sentivo camminare fino alla pesante serratura della porta di ingresso.
Quel click mi ha separato per sempre da una vita in cui avevo accettato di concepirmi come decorazione di qualcun altro.
La mia infanzia e la mia adolescenza sono state di quelle perseguitate dal rimprovero per essere "grassa". Ricordo ancora una volta, che scappai in un bagno pieno di scritte per sfuggire agli insulti che dal cortile mi gridavano i miei compagni di classe quindicenni.
La mia famiglia mi parlava spesso del mio peso con toni di "preoccupazione".
All'inizio ero confusa ma poi, da adulta, queste parole sul mio aspetto hanno assunto il valore del riconoscimento di aver compiuto la missione a cui ero stata inconsapevolmente assegnata per essere nata con un cromosoma XX: essere visivamente eccitante.
Gli apprezzamenti verbali in un certo senso mi lusingavano, ma mi disgustavano molto di più. Avevo l'attenzione degli uomini, ma non nel modo che desideravo. E non per le cose che apprezzavo maggiormente di me stessa. Tuttavia, mi diventava sempre più chiaro che non solo quello era l'unico tipo di attenzione che avrei avuto, ma che era anche il massimo che avrei potuto aspettarmi.
Mi è stato detto tante volte che gli uomini sono "visivi", giustificando e scusando in questo modo i miei racconti e le mie valutazioni su fatti tristemente unidirezionali.
E quindi ho imparato non solo ad accettare questo genere di apprezzamenti, ma anzi addirittura a cercarli attivamente.
L'abbigliamento poteva essere un buono strumento per catturare l'occhio di un uomo, e così ho cominciato a setacciare gli scaffali del vintage per assicurarmi i pezzi giusti per nascondere le parti del mio corpo che mi avrebbero fatto scendere nella loro classifica di apprezzamento e accentuare quelle più attraenti, sempre secondo le loro graduatorie. Il mio unico vero intento era beccare i pezzi che con maggiore probabilità mi permettessero di ottenere quell'ambito complimento.
I miei capelli e il mio trucco erano di ovvia importanza se volevo brillare sotto i riflettori del palco di quell'implicito concorso di bellezza e ottenere punteggi positivi dai giudici.
Ho investito tempo e denaro per distinguermi quanto bastava per essere originale, ma abbastanza conforme agli standard da non essere ignorata.
Eppure ogni volta che dicevo "grazie" a parole superficiali e valutative, avvertivo un chiaro malessere. Volevo essere ammirata e riconosciuta per il mio cervello invece che per il mio corpo, i miei vestiti, i miei capelli, la mia pelle o il mio profumo.
(continua di seguito...)
Non sapevo cosa stavo inconsapevolmente accettando la prima volta che ho sorriso ricevendo dei complimenti sul mio aspetto al buio di una discoteca.
Quel semplice "grazie" diventava un invito implicito agli uomini a continuare a "dissezionarmi", valutarmi pezzo per pezzo e approvarmi e non solo nelle birrerie, nei locali notturni scintillanti o nei ristoranti chic.
In seguito, sotto i riflettori delle relazioni, quelle parole sono diventate un invito implicito a continuare a valutarmi in quel modo, sia da parte loro che da parte mia: come potevo aumentare il valore della mia immagine riflessa nei loro occhi.
Le parole di questi uomini hanno preso un nuovo significato quando ho sentito diversi dei miei uomini pronunciare frasi "gentili" come:
- dovresti lavorare sul tuo sedere prima che la mia famiglia ti incontri
- non capisco perché i tuoi fianchi siano così larghi. Non puoi semplicemente fare più esercizio fisico?
- forse sarebbe meglio se non indossassi quella vestaglia perché hai un po' di - hmmm - cellulite.
Davanti a quelle affermazioni, avrei abbassato lo sguardo sentendomi ingombrante, e interiorizzando una volta di più la mia incapacità di essere "abbastanza".
Decidendo inavvertitamente di preoccuparmi della loro opinione sul mio corpo quando questi uomini avevano pronunciato per la prima volta i loro complimenti, ho inconsapevolmente acconsentito ad ascoltare quella che ora, mesi dopo, era una critica o un precetto su come avrei potuto essere più attraente, più affascinante, più soddisfacente.
Come avrei potuto essere più magra, più minuta.
Pensiamo di poter correggere i nostri difetti in modo da essere adeguate per gli altri, come una volta i loro complimenti ci hanno portato a credere.
Facciamo più esercizio fisico.
Aggiorniamo il nostro guardaroba.
Cambiamo taglio o colore di capelli e ci spruzziamo un nuovo profumo.
Come vecchi abiti smessi, cerchiamo di infondere nuovo valore a noi stessi, aspettando che i riflettori si riaccendano per poter brillare di nuovo mentre ci guardano, ottenendo approvazione.
Ma non siamo mai abbastanza. Ci sfiniamo sotto il peso di questo progetto.
Per me, affranta e senza più nessuna autostima, la mia soluzione è stata cercare nuovi partner.
Anche se li trovavo con una certa facilità, più e più volte, non erano altro che gli stessi uomini con facce diverse - le facce con gli occhi che si fermavano quel tanto che bastava per pronunciare parole di approvazione per il mio aspetto. Finché non ho guardato gli occhi verdi dell'uomo nel mio appartamento.
Quella volta non ho distolto lo sguardo, sotto le parole che in altri momenti mi avrebbero fatto vergognare. Invece, mentre lo guardavo, ho visto qualcosa di nuovo.
Ho visto un uomo che cercava nelle conferme esterne la convalida del suo valore: l'aspetto della sua ragazza, nella sua mente, seguiva una metrica non dissimile dal suo patrimonio nella definizione del suo valore. La sua attività falliva, le sue finanze erano crollate da tempo, cercava in me un argomento per convalidare il suo successo nel mondo.
Quando ho visto i suoi fallimenti e le sue ricerche di una compensazione, ho visto che anch'io volevo una convalida esterna per coprire mancanze che non accettavo e volevo nascondere.
In fondo, non ero molto diversa da lui.
Per decenni, fino a quando quell'uomo non pronunciò quelle parole, avevo permesso al mio ingegno, alla mia intelligenza, alla mia capacità di recupero, alla mia spinta e alla mia ambizione di essere sepolte sotto il mio peso corporeo quale arbitro del mio valore per gli uomini.
La mia paura di perdere l'approvazione di un ragazzo in un corridoio della scuola media o degli uomini della mia famiglia aveva eclissato le cose che apprezzavo di più di me stessa, mentre delegavo agli uomini che mi osservavano di stabilire quale fosse il mio valore.
Avevo paura di essere "troppo", così per anni ho cercato di rendermi piccola, fisicamente ed emotivamente.
La forza mi ha trovato mentre scoprivo cosa nascondeva la mia vergogna quella notte di dicembre. Quando gli ho chiesto di andarsene, ho aggiunto il mio peso all'inizio della frase in cui gli dicevo di andarsene. Questo numero, pronunciato ad alta voce, era ora un'arma interna di forza invece di una pagella esterna.
"Peso 58 chili".
Il numero ora sembrava più leggero che pesante, e non mi importava più di ciò che gli occhi di un uomo potevano vedere quando guardava il mio corpo, cercando di rendermi più piccola e sottile di quello che sono.
Non volevo essere mai più la decorazione di nessuno.
Non avrei mai potuto soddisfare pienamente lo sguardo maschile, e questa volta non lo volevo nemmeno. Nel silenzio del mio appartamento, i miei capelli, i vestiti e il profumo ora tornavano a me smettendo di essere arbitri del mio valore e diventando finalmente ciò che davvero erano: pura decorazione.
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Questo articolo è stato tradotto e pubblicato grazie all'autorizzazione dell'autrice. Puoi trovarne la versione originale qui.