In ogni essere umano coesistono due distinti e opposti impulsi: quello di fondersi con un'altra persona e quello di restare persone distinte, "separate". Entrambi questi istinti sono vitali. Esattamente come accade nel legame madre/bambino, nel primo periodo della loro unione gli amanti tendono ad immergersi totalmente nei loro sentimenti, e una attrazione magnetica li spinge l'uno verso l'altra.
E, esattamente come il bambino un giorno dovrà staccarsi dalla madre per diventare sé stesso, anche noi col tempo dobbiamo creare dei confini nelle nostre relazioni, e assicurarci così di preservare gli aspetti essenziali della nostra individualità nella relazione. Ma soprattutto all'inizio della relazione, nella fase cosiddetta di "luna di miele", allontanarci dal nostro partner è davvero l'ultima cosa che vorremmo fare.
Vogliamo solo restare nella fase della fusione - e del resto chi non lo vorrebbe? E' tutto così magico!
Molti amanti cercano di restare in questa bolla amorosa il più a lungo possibile, creando una loro "cultura privata". Inventano un linguaggio della coppia che nessun altro può capire. Si scambiano barzellette che fanno ridere soltanto loro. Nella sicurezza percepita della bolla, si scambiano emozioni improvvisamente totali e totali. E' stato proprio in questa bolla che Ingrid Bergman e suo marito, Peter Lindstrom, hanno chiamato la figlia PIA, che era l'acronimo di Peter, Ingrid, Always. In seguito il loro matrimonio è finito ma il nome di Pia Lindstrom è rimasto a ricordare per sempre le infinite possibilità dell'amore - e la sua immanente fragilità.
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Naturalmente, non per tutti l'amore si presenta come "urgenza di fusione". Alcune persone non vivono mai questa esperienza. Altre vivono delle punte iniziali di estasi che poi si disperdono rapidamente. Altre ancora si innamorano lentamente, con un'amicizia che gradualmente diventa intima - ma non necessariamente anche romantica. Altre persone ancora entrano in una relazione perché sentono che è "il momento giusto", spesso sotto la spinta di un orologio biologico che le incalza sempre più.
Altre persone ancora si focalizzano sulle affinità, ad esempio etniche, di razza, di religione, classe sociale o obbiettivi. In effetti, in alcune culture trovare un partner di vita non ha praticamente nulla a che vedere con l'innamoramento. Ma ciò nonostante, una gran parte della nostra cultura - canzoni, film, favole, romanzi - ci spinge a credere che la versione idealizzata dell'amore sia la norma. Aspettiamo l'eroe o l'eroina che ci risvegli con un magico bacio.
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Uno speciale tipo di follia.
Il primo stadio dell'amore è stato raccontato da quando l'essere umano esiste sul pianeta. La maggior parte delle volte si sente parlare di "mal d'amore", una serie di sintomi ansiosi portati dagli intensi cambiamenti legati all'innamoramento. Ibn Sina, fisico del decimo secolo e padre della medicina moderna, riteneva che la causa principale del mal d'amore fosse l'ossessione.
Oggi, sappiamo che aveva ragione. Le reazioni biochimiche che avvengono con l'innamoramento producono sintomi simili a quelli che si hanno nel disturbo ossessivo-compulsivo, incluse la mancanza di appetito e l'insonnia. E conosciamo molto bene i segni di una ossessione... le fantasie sulla persona amata riempiono i nostri giorni e affollano le nostre notti, e quando siamo lontani da lei, ci sentiamo incompleti. Se l'assenza fa crescere il sentimento, porta anche a parlare continuamente dell'oggetto d'amore. Questa fissazione e preoccupazione sono ciò che gli altri trovano fastidioso in chi si è innamorato. Alzano gli occhi al cielo e pensano che siamo impazziti. Il che, ovviamente, è vero.
Nel 1979 la psicologa Dorothy Tennov ha coniato il termine "limerenza" per descrivere questo stato di temporanea insanità mentale e la ha associata a:
- tendenza a sovrastimare le qualità positive del partner (minimizzando invece gli aspetti negativi)
- desiderio acuto del proprio oggetto d'amore
- sensazione di estasi in presenza della persona amata
- profondi sbalzi d'umore, dall'estasi all'angoscia e viceversa
- pensiero costantemente rivolto all'oggetto d'amore, in modo involontario e ossessivo
- profonda prostrazione quando la relazione si interrompe.
Questo elenco mi ricorda un mio vecchio cliente di nome Stu, un alcolista in via di disintossicazione. Una volta, mi aveva raccontato un aneddoto sulla prima volta che si era ubriacato, all'età di quattordici anni. "Avevamo birra e vino nel bagagliaio e abbiamo accostato per assaggiarlo", mi ha detto; "nel momento stesso il cui ho bevuto il primo sorso ne sono rimasto sedotto. Quella notte sono svenuto e sono stato davvero male, eppure non vedevo l'ora di poter bere di nuovo. Quando sorgeva il sole, nasceva anche il mio desiderio. Desideravo il prossimo bicchiere come i miei amici desideravano le ragazze".
Sono rimasta colpita da come quelle stesse parole avrebbero potuto essere facilmente usate per descrivere quel che accade ad a chi si innamora di un'altra persona. "Devo averlo a tutti i costi" riferendosi all'alcol oppure a una persona...non sono affatto due sensazioni diverse.
La ragione di questo è semplice, ma sorprendente: gli innamorati hanno molto in comune con le persone con dipendenze. Le immagini delle risonanze magnetiche mostrano che il nucleo accumbens, la parte del cervello che si attiva negli innamorati, è proprio la stessa che si accende quando i cocainomani e gli scommettitori agiscono mossi dalla loro dipendenza.
Questa recente scoperta riporta alla mente un vecchio adagio: la magia è scienza non ancora svelata. Ciò che sappiamo con certezza, comunque, è che il desiderio associato al romanticismo è molto reale. La mitologia greca ci ha lasciato modi immaginifici e divertenti di descrivere l'intensità dell'amore romantico. Afrodite, la dea dell'amore e della bellezza, aveva un figlio di nome Cupido. Il suo compito, come arciere, era intingere la freccia nella pozione segreta di sua madre prima di puntare. Una volta che la freccia avesse raggiunto il suo destinatario, quella persona si sarebbe innamorata follemente della prima persona che avesse visto.
Questo mito ha dato vita ad alcune delle più straordinarie leggende di tutti i tempi, come quelle di Apollo e Daphne, Elena di Troia, Antonio e Cleopatra, Romeo e Giulietta. Sappiamo che le "vette" del romanticismo possono essere almeno in parte spiegate dalla biochimica. La scienza ci dice che quando il cuore ci batte all'impazzata lasciandoci senza fiato, tremanti e desiderosi soltanto di essere con la persona amata, questo significa che il nostro corpo sta sperimentando una sovrabbondanza di particolari sostanze chimiche e ormoni nel cervello e nel sangue, sostanze tra cui la feniletilammina (PEA), una anfetamina naturale presente anche nel cioccolato e nella marijuana.
Quando volano sulle ali della feniletilamina, gli amanti sperimentano anche una sessualità più sensuale e avventurosa di quanto avessero mai provato, con sensazioni di intensità straordinaria, o il trovare piacere in cose che normalmente sarebbero risultate disgustose. Napoleone Bonaparte, ad esempio, scrisse alla sua Giuseppina: "Sto tornando. per favore non lavarti".
E se una abbondante dose di PEA non fosse abbastanza, il cocktail dell'amore comprende anche le endorfine, che esaltano il piacere e riducono il dolore, ed ossitocina, un ormone che favorisce il nascere di legami e il coccolarsi. Questo cocktail infonde euforia e una energia straordinaria, motivo per cui cibo e sonno diventano inessenziali. La nostra prospettiva diventa così distorta che vediamo soltanto ciò che di buono e bello c'è nel nostro partner, e diventiamo ciechi a tutto il resto.
Ma è discutibile se l'innamoramento sia o meno un processo passivo. Sicuramente restare innamorati non lo è. L'amore durevole nasce dal "lavoro" di due persone (lavoro su sé stessi, innanzitutto) orientato a creare una partnership forte, che possa superare le prove del tempo.
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Questo articolo è stato tradotto e pubblicato grazie all'autorizzazione dell'autrice. Puoi trovarne la versione originale qui.